venerdì 25 febbraio 2011

AREA ROCK

Dalla prossima settimana, lunedi , mercoledi e venerdi su Radio Phenomena, AREA ROCK, la trasmissione radio a base di rock condotta dai vostri beniamini, Anto, Kappa & Dj Ananas!!!
Raggiungibile nel messinese sulle frequenze 107.200 o in streaming ovunque voi siate cliccando su   http://www.streamsolution.it/onair/radiophenomena.asx
Seguiteci!!!

Kappa.




giovedì 24 febbraio 2011

REVIVAL RECENSIONI : BLACK MERDA – OMONIMO (1971)

C’è davvero poco da ridere, è vero che Black Merda non rappresenta per un gruppo musicale un gran bel biglietto da visita, ma credetemi , che a dispetto del evocativo puzzolente nome, i Black Merda erano davvero una gran bella band.
“The Prophet” il brano che apre l’omonimo dei Merda, ( datato 1971 ) già dalle prime note funky –rock vi farà capire che di merda in questo disco non se ne sentirà. “Cynthy-Ruthy”  quasi ci ricorda Mr Hendrix nell’apertura, per poi virare verso il funk, con il basso a permeare il pezzo come un tappeto ruvido su cui i cori contrastano con il vocione soul. “Over and Over” è un saggio strumentale che i Merdosi danno mischiando una buona dose di blues ai già sopracitati ingredienti, ribadendo, al suono di un imperante ma mai fastidioso, lungo solo di chitarra, la loro attitudine tutt’altro che merdosa.
Si prosegue con i testi impegnati  di “Ashamed”, la soffice “Reality” e una nuova perla strumentale “Windsong”, per approdare ancora sul Funk Soul di “Good Luck” che suona nero come… si insomma che più nero non si può, “That’s The Way It Goes” , porta sulle sue note le rimembranze di tutto un periodo musicale, in questo  pezzo si possono riconoscere, nelle sonorità , tutte le band che hanno fatto degli anni 70 il periodo musicale più bello e florido di sempre. Chiudono “ I Dont Want To Die” e “Set Me Free”,  due pezzi dall’animo più leggero, che sfaccettano ancora di più il contenuto generale dell’album, a ulteriore dimostrazione della quantità di argomenti che la musica degli anni 70 aveva da dire.
Assolutamente da ascoltare bastardi ignoranti

ANTO



RECENSIONI : JOAN AS POLICE WOMAN – THE DEEP FIELD

Suggestive e delicate le atmosfere per questo nuovo disco di Miss Joan, per tutto l’ascolto si scivola dolcemente cullati dalla sua melodiosa e pacata voce soul, di indiscutibile classe le strutture e gli arrangiamenti di tutto il disco, davvero  Smooth.  Rimprovero ( in tono anch’io pacato) l’eccessiva dilatazione di alcuni pezzi ( “Flash” “Nervous” ) peraltro indubbiamente belli, che nell’essere troppo “consumati” dai minuti finiscono per comprometterne la dovuta attenzione, subisce lo stesso destino la splendida ultima traccia ( “I Was Everyone”), confermando la famosa tesi del filosofo Alex Drastico, che anche sui temi più belli e appassionati soleva dire….”due tre minuti, poi rompe i coglioni!!”
Rimane senza dubbio un parere favorevole per un bel disco, tenendo in considerazione che , arrivati al limite di saturazione del pezzo, si può sempre passare avanti.

ANTO


RECENSIONI : ROXETTE – CHARM SCHOOL

Quando ero ragazzino i Roxette dominavano la scena Pop mondiale, cosa anche abbastanza insolita per un duo Svedese, ma nonostante i trascorsi sicuramente non troppo gloriosi del loro luogo di origine,in termini musicali,  la coppia collezionava dischi d’oro, faceva sold out ai concerti, e contava un seguito di fan impressionante. Insomma restava pur sempre un genere molto di massa, dalle sonorità orecchiabili e fischiettabili ( chi non ricorda il ritornello fischiettato di “joyride” ) e dai testi romantici/zuccherosi e/o malinconici a volte pure fin troppo sempliciotti. Ma il Pop è questo, e lasciatemi dire che i Roxette lo facevano bene, e riuscivano a piazzare dei singoli che finivano anche come colonne sonore di film famosi (“ I Must Have Been Love” colonna sonora di Pretty Woman ), da menzionare anche qualche “condimento”  rock che il chitarrista / cantante Per Gessle amava spolverare nelle loro canzoncine. In definitiva i Roxette malgrado tutto, non erano poi cosi “cattivi” da ascoltare, un ascolto senza pretese ovviamente.
Adesso dopo 27 secoli di silenzio, tornano con un nuovo disco, con in più un disco bonus contenente dei pezzi vecchi live, catturati in giro nel loro ultimo tour del 2010. Bene questo mi toglie abbastanza d’impaccio, basta soltanto ascoltare entrambi i dischi, considerando che comunque il live è dello scorso anno, e la coppietta svedese è già bella che scoppiata  da un bel po’, e confrontarli con i pezzi nuovi.
Non c’è paragone.
Quando gli ingredienti per fare un bel Pop ( che già di suo è una pietanza molto delicata) vanno a male, è meglio fermarsi, e lasciare un bel ricordo.

ANTO


mercoledì 23 febbraio 2011

RECENSIONE: MOTÖRHEAD – THE WORLD IS YOURS

Avevo 16 o 17 anni, ricordo benissimo quella maglietta dei Motörhead con Lemmy Kilmister che mostrava il dito medio, e mi ricordo ancor meglio il gusto che avevo a metterla per andare a scuola, soprattutto quando sapevo di dover essere interrogato di inglese, visto che la professoressa detestava i capelloni e aveva un occhio di riguardo per quelli che vestivano firmati. Io sono invecchiato, ma la cricca dei Motörhead pare essere rimasta la stessa, monolitica e hard rock,  senza compromessi.
Certo c’è da dire che non è che propongano nulla di nuovo e mai sentito, i Motörhead sono i Motörhead!!! E c’è da dire che in 35 anni di carriera e al ventesimo lavoro in studio, c’è da dire che hanno già cambiato molto nella musica moderna e hanno fatto scuola! Ma i pezzi scorrono fludi e potenti dai solchi del vinile, a partire dalla prima “Borno to loose” , richiamo al loro classico “Iron Horse/Born To Lose”, e Lemmy ci  conduce con la sua voce graffiante alla finale “Bye bye bitch bye bye”,  passando per il single “Get back in line”, alla harley-davidsoniana “Devils in my hand” o alla celebrativa “Rock’n’roll music”, canzone che ci racconta il modo di vivere, appunto, rockìn’roll, con le chitarra che richiamano addirittura gli Ac/Dc!!!
I suoni di questo disco sono puliti e potenti, Phil Campbell fa cantare la chitarra e Mikkey Dee è un metronomo e da un tiro pazzesco ai brani.
Il detto anglossassone ”no news, good news” è profetico, i Motörhead continuano per la loro polverosa strada e non pensano assolutamente di ritirarsi, piuttosto con questo disco ci danno una buona scusa per seguirli nelle loro tournee!
Lunga vita ai Motörhead!!!!

Kappa.




martedì 22 febbraio 2011

RECENSIONI : RADIOHEAD THE KING OF LIMBS

Dunque è arrivato il momento finalmente  di parlare di un disco di quelli che, solo a sentire il nome del gruppo, si entra in una soggezione reverenziale, e stavolta non si tratta di allenarsi al distacco (punta/tacco) professionale, stavolta carissimi bastardi, si tratta dei Radiohead.
Sono fermamente convinto che qualsiasi tipo di paragone, di tentativo di descrizione e di confronto sarebbe quanto mai riduttivo limitante e inconcludente.
Pertanto posso solo dirvi che “The King Of Limbs” è un opera musicale generata da geni oramai riconosciuti della musica contemporanea. Tom York è sempre più proteso verso l’etereo, verso l’impalpabilità della voce dell’anima , la sua figura splende in un contesto musicale geniale e a tratti anche minimalista, che non fa che enfatizzare la chiarezza della sua essenza vocale ( “Codex” ne è l’ esempio). Qualcosa che va dritta alle viscere, passando quasi per sbaglio dalle orecchie.
I Radiohead fanno parte di una èlite di artisti creatori di quella che gli stessi  R.S.I. definivano  “Musica Superiore” un concetto di percezione sensoriale quasi sinestetico che mischia i sensi e li convoglia verso una percezione più completa, una percezione che fonde la fisicità delle funzioni umane ricettive, con la spiritualità propria della comprensione che solo l’anima può avere.

ANTO

RECENSIONI : ANNA CALVI - OMONIMO

Entro subito in tema dicendo che il paragone che qualcuno ha osato fare per la canzone biglietto-da visita di questo disco-debutto ( Rider To The Sea), di Miss Anna Calvi, accostandogli qualcosa di “Morriconiano”, si rivela quanto mai fondata, anche se non eccessivamente vicina, qualcosa a metà strada direi, tra Morricone western e i Calexico.
Il disco continua strisciando letteralmente al suono della voce della Calvi, tra mille metamorfosi. Si arriva dunque già alla seconda traccia ( No More Words)  in una contesto mutato, reso denso e viscoso dal vortice lento dei sussurri della sua voce. Passati questi quasi 4 minuti si arriva in un’altra dimensione, “Desire” infatti porta in se qualcosa degli anni 80 rock, ( cosa che non mi entusiasma molto) mischiata ad un vago sentore “Springsteeniano”. “Suzanne and I” la traccia successiva, marca ancora di più questa ( buia!!) influenza anni 80, fino a riscaraventarci ancora in un contesto di ballad intima e scarna (First We KIss ) che si apre nel finale di nuovo ad sonorità rock-desertiche.
Insomma il disco cerca di sfuggire ad ogni etichettatura , rimbalzando tra suoni ipnotici e rimandi glamour rock, che ne fanno di sicuro un disco non statico e banale,  sicuramente lodevole per essere un debutto, personalmente nel contesto ( dopo parecchi attenti ascolti) non mi ha fatto entusiasmare più di tanto, in conclusione posso dire che il disco non mi piace, ma questo ovviamente è solo un mio punto di vista, e pertanto  come sempre opinabilissimo.
P.S
Lo spazio per i commenti è fatto apposta! Qualora qualcuno non si trovi d’accordo, la sua opinione è ben accetta, ovviamente non per questo significa che di conseguenza verrà ritenuta rilevante.(ah ah ah )
See you soon

ANTO


RECENSIONI : MIDDLE CLASS RUT - NO NAME NO COLOR

È assolutamente naturale al primo urlo accostarli automaticamente ai Jane’s Addiction, in realtà questo duo Californiano, nel loro lavoro di debutto, materializzano tra le pieghe strutturali del loro sound influenze molteplici e rimembranze d’autore.
Da cadenze “zeppelianiane” (“ I Guess You Could Say” e “Dead End”) , a chiare e divertenti incazzature stile Green Day dei tempi di Dookie,( “USA”, “New Low” ) anche se la somiglianza più marcata si ha con i primi Offspring (“Lifelong Dayshit” “Alive Or Dead” ).
Insomma il primo lavoro dei Middle Class Rut promette bene, evidenziando una ottima dose di “fuoco” in tutte le tracce, le sonorità punk-rock puntano dritte all’essenziale,e fanno di questo disco una buona miscela energetica.
Avanti gioventù.


ANTO

Recensione "Viva i Romantici" - Modà

Il senso generale dell'album si riassume con: non basta a volte riempire un brano di chitarre rock, a volte con suoni che sfiorano l'hard-rock, per essere definiti un gruppo rock, soprattutto se la voce e la sua impostazione generale stridono nettamente con il resto, un po' come mettere il sale su una torta e pretendere che sia un secondo anzichè un dessert.
Nel concreto, l'album è una sequela di ballad smielate che a tratti (vedi " La Notte" ) sfiorano il peggior Gianni Celeste in cui ogni tanto saltano fuori suoni quasi metal che fanno rabbrividire per quanto sembrano fuori contesto e soprattutto per l'impresione di generale forzatura per sembrare rock e finendo per esserne una totale caricatura.
C'è forse il tentativo di essere considerati il gruppo rivelazione della musica italiana, ma per questo mancano l'intensità dei Negramaro, la cazzonaggine delle Vibrazioni, il carisma dei Pooh..solo un aggettivo riassume questo patetico e sinceramente fastidioso tentativo di voler fare quello che non si è capaci di fare: Presunzione. E pretenziosità. In due parole, tirarsela da morire quando invece si è mediocri,banali e ripetitivi.

Lo Zingaro.

Aggiungo che con un titolo così non possono di sicuro fare rock, ma solo attirare flotte ti ragazzine...

Kappa.

RECENSIONE: ZUCCHERO – CHOCABECK

Ve lo dico subito: questo è un gran bel disco!!! E se zucchero è riuscito a farmi affermare questa frase vuole dire che c’è ancora speranza in questo mondo. Questo disco trasuda di malinconia, speranza e tranquillità, come le terre e le campagne alle quali si e sipirato Adelmo, sfornando un concept album che parla di una giornata di festa vissuta al suo paese, dall’alba al tramoto, un giorno della sua infanzia.
Il titolo, “Chocabeck”, e la translitterazione di “Ciocabec”, ovvero “becco che  fa rumore”, ed è legato al ricordo di un’infanzia di ristrettezze economiche, quando alla domanda del piccolo Adelmo che chiedeva cosa ci fosse da mangiare, questi rispondeva “ciocabec”.
Le canzoni all’interno di questo album sono abbastanza omogenee, atmosfere rarefatte, le batterie e i bassi incalzanti che ci aspettiamo dal Fornaciari sono sostituiti invece da organi, pianoforti, archi e chitarre acustiche. Un disco che profuma di campagna e di sogni, che ti lascia un buon sapore genuino in bocca.
Non voglio mettermi a snocciolare il brani uno per uno, vi dico solo che il disco lo trovo molto vicino come tematiche e suoni alla de gregoriana “Diamamte” di “Oro, incenso & Birra”. E che hanno collaborato gente come Francesco Guccini, nell’open track “Un soffio caldo”, o Bono degli U2 che ha scritto il testo in inglese per il secondo brano “Someone else’s tears” ovvero “Il suono della domenica”, o Brian Wilson dei  Beach Boys ha cantato i cori di “Chocabeck”, mentre un certo Iggy Pop ha firmato el vesrioni inglesi di “Alla fine” e “Cockabeck”, che diventano “Too late” e “Spirit together”, e ancora con Pacifico scrive “Oltre la fine” e con  Roland Orzabal dei Tears for Fears  firma la canzone finale, “God bless the child”. Queste sono le premesse, se poi mettiamo che il disco è stato prodotto da Don Wars (Rolling Stones, Bob Dylan, Iggy Pop, Carly Simon, B.B. King) e Brendan O’Brien (Black Crowes, Pearl Jam, The Offspring, Bruce Springsteen, Red Hot Chili Peppers, Aerosmith)…
Ma la cosa bella è che senza queste informazioni, il disco è bello e funziona lo stesso e rende giustizia a un artista che ha segnato dei momenti storici della musica contemporanea, che non sto qui a elencarvi, altrimenti no nfiniamo più. Bene che dire? Fatevi cullare da questo disco, ance se siete tra quelli che, come me, nelle ultime produzioni hanno storto abbondantemente il naso.


Kappa.

  1. UN SOFFIO CALDO
  2. IL SUONO DELLA DOMENICA
  3. SOLDATI NELLA MIA CITTA'
  4. E' UN PECCATO MORIR
  5. VEDO NERO
  6. OLTRE LE RIVE
  7. UN UOVO SODO
  8. CHOCABECK
  9. ALLA FINE
  10. SPICINFRIN BOY
  11. GOD BLESS THE CHILD


domenica 20 febbraio 2011

Buon compleanno Kurdt!!!

Recentemente ho sentito chiedere a qualcuno, publicamente davanti a una platea, che senso avrebbe oggi Kurt Cobain vivo. La risposta non la so... ma principalmente mi chiedo che cazzo di domande siano queste!
Buon compleanno Kurdt!

Kappa.



Negative creep

This is out of our reach (x3)
and it's gross
This is getting to be (x3)
a joke
I'm a negative creep (x3)
and I'm stoned!
I'm a negative creep (x3)
and I'm ... (x2)

Daddy's little girl ain't a girl no more (x6)

This is out of our range (x3)
and its gross
This is getting to be (x3)
a joke
I'm a negative creep (x3)
and I'm stoned!
I'm a negative creep (x3)



and I'm ... (x2)

Daddy's little girl ain't a girl no more (x6)

Fuck! Yeah!
Gross!
Stoned!

Daddy's little girl ain't a girl no more (x14)

SAN REMO MEZZO VUOTO & MEZZO PIENO

Anche quest’anno il festival della canzone italiana, giunto alla sua 61 esima edizione, ha monopolizzato, come di norma in questo periodo, le discussioni che girano intorno all’asse italiano musicale ( e non solo).
Che dire!?  C’è chi lo odia, chi lo ama alla follia, chi lo critica, chi si chiama fuori, fatto sta che alla fine, tutti, ma proprio tutti, anche solo un piccolo stralcio dell’evento, lo vedono comunque.
E quest’anno carissimi bastardi apolidi dell’universo musicale, anche io, bene o male, ho dovuto ( voluto?) Seguire l’evento, seppur a piccoli pezzetti ( tutto quanto sarebbe stato decisamente troppo!!)
Ne consegue che adesso vi sciroppate il mio bel commento alla manifestazione.
Dunque carico e pronto per sparare a zero e/o a casaccio comincio con quello che mi è piaciuto di questo Sgangherato e disorganizzato carrozzone mediatico pseudo musicale, ovvero; Luca & Paolo, anche se secondo me dopo la partenza in sgommata della prima puntata, qualcuno dall’alto ha sicuramente deciso di farli un po’ “frenare”. Ciononostante la loro satira le loro battute e le loro riflessioni non mi sono affatto dispiaciute.
Glisso volontariamente sulla componente femminile della manifestazione, sinceramente perché credo che non ci sia niente da dire, niente, non nel senso che hanno fatto un buon lavoro, e nemmeno come sinonimo di una cattiva prestazione, semplicemente sono state pagate per quello che dovevano fare, e l’hanno fatto, niente.
Su Morandi, Dio mio, e sempre un uomo di una certa età, non vorrei infierire, anche se, qualora non lo facessi io ( e anche se lo faccio!!!) qualcun altro comunque sarà chiamato a farlo, senza tralasciare il fatto che in fondo, tutti quelli che hanno assistito al festival hanno notato che si aggirava sul palco come un cane drogato in preda a scombussolamenti psichici, stati confusionali, e chiari sintomi di disturbi della personalità border-line, dunque inutile proferire in tal senso. Divertente.
Riguardo gli ospiti, ehm…i Take That, si ecco questa grande reunion di questo super gruppo di..ehm cantanti va bè andiamo avanti, beh…magari Monica “so strafiga” Bellucci in evidente stato di pompaggio ( ego & fisico!!) affiancata da un disorientato Robert De Niro, che per tutta la serata non avrà fatto altro che chiedersi chi cazzo mai era stato a scrivere la domande a Morandi,( e se davvero gli davano tutti quei soldi solo per rispondere a quelle idiozie) finendo col convincersi alla fine che era tutta farina avariata del suo sacco, anche se, era già stato messo in guardia da una telefonata di Andy Garcia, che gli comunicava che avrebbe trovato ‘sto tipo strano,un pò ebete, ma che comunque,risultava innocuo. Parliamo allora di quella gigantesca star della musica mondiale che risponde al nome di Avril “chi cazzo è?” Lavigne, che ha risvegliato sicuramente durante la sua performance rigorosamente in playback ( e fuori sincrono) il nostro amore per la buona musica, ….ok basta.
Ovviamente mi inchino dinnanzi al maestro Benigni, che ancora una volta ha dimostrato di saper nuotare tra le acque della retorica senza bagnarsi, nei suoi esercizi di stile c’è la classe e il tatto di un grande uomo, che tenta di accendere negli  Italiani la consapevolezza e l’orgoglio che dovrebbe essere già insito in un popolo glorioso come il nostro. Lunga vita a Roberto Benigni.
Cosa rimane?....ahh la musica!! Ma certo.
Per tutti quelli che si sono sorbiti con stoicismo ( e con una punta di masochismo!) l’ennesima sviolinata di Albano ( ma questo non molla mai cazzo??) la litania ( riconoscibilissima )in copia carbone Gigidalessiana della moglie Tatangelo, le cazzate dell’eterno quindicenne Pezzali,  lo style oltretomba tipo “ring” di Anna Oxa,il senso di orrido provocato da Patty Bravo ( dopo lo scongelamento è necessario l’lettroschock per farla muovere)  e le stramberie leccaculiste di Tricarico, direi che in fondo sono stati premiati.
Ci sono stati anche dei momenti interessanti devo riconoscerlo, a cominciare dalla piacevole sorpresa del talentuoso  Raphael  Gualazzi , meritatissimo vincitore di S.Remo giovani ( esiste la meritocrazia Pazzesco!!!) accompagnato dal grandissimo Fabrizio Bosso alla tromba, e dai restanti giovani che tutto sommato si sono difesi bene.
Tra i “big” momenti piacevoli nel vedere Madonia col maestro Battiato ( superba featuring di Carmen Consoli con guitar e wah wah ) dell’eterno Vecchioni  ( vittorioso come un ventenne ) con l’immortale PFM , o dell’outsider Van de forst? O come cazzo si chiama, che , nonostante il dialetto incomprensibile, ci ha fatto canticchiare e muovere con la musica per niente male di …..yanez??...Nessun commento su Modà/Emma  – Barbarossa – Giusy “deepthroat” Ferreri e il resto, sono un uomo mica una macchina!!
Anyway, anche se non mi metto a menzionarli tutti, tutto sommato anche quest’anno c’è stato S.Remo,
anche quest’anno qualcuno ha vinto, anche quest’anno hanno buttato un pacco di soldi per pagare personaggi “famosi” per venire a dire delle cagate al festival del paese dei balocchi, anche quest’anno abbiamo sentito la solita musica di merda e ci siamo depressi, anche quest’anno abbiamo sentito delle cose belle e interessanti e abbiamo sperato ancora in un cambiamento, anche quest’anno siamo sopravvissuti, anche quest’anno ci siamo messi in discussione ( mentalmente), anche quest’anno infine S.Remo è passato, anche quest’anno in fondo , non è successo niente.


ANTO

RECENSIONI: BOB MARLEY - LIVE FOREVER

Fare una recensione ad un disco di “Zio Marley” è quanto di più semplice mi possa capitare penserete, in effetti pensate bene, è universalmente riconosciuta la bellezza delle poesie in musica del profeta del reggae, e pertanto potrei fare un collage di frasi prese da 20milioni di recensioni già fatte sulle canzoni e sulla vita di Mr Jr Gong, spiattellare infine un mio commentino super-parte in quanto veneratore del grande Bob, e voilà.
D’altronde cosa mai potrei dire che non sia stato detto sulle opere e la vita di questo grande uomo!? La cosa sarebbe davvero complicata, pertanto visto che poi il mio compito nella fattispecie è quello di recensire un disco, il suo ultimo disco, se cosi vogliamo chiamarlo, visto che, a tutti gli effetti si tratta della registrazione ufficiale dell’ultimo suo concerto, è quello che andrò  a fare.
Il concerto in questione come dicevo è l’ultimo della storia di Bob Marley & The Wailers, tenutosi a Pittsburgh il 23 Settembre del 1980. Comincio con il prepararvi dicendovi che qualitativamente siamo abbastanza distanti dalla superlativa bellezza di Babylon By Bus ( secondo me il miglior disco Live di Zio Bob) e anche dal punto di vista della qualità audio della registrazione è un pò carente, ma come per il resto dei concerti di Marley la scaletta è senza dubbio importante, e l’energia presente indubbia e come sempre palpabile.
Dunque questo disco vuole essere la testimonianza ultima di una vita unica e leggendaria, della profonda spiritualità e della bellezza della filosofia di vita di un grande uomo, di un indimenticabile artista che con la sua poesia e il suo credo di fratellanza e pace, ha contribuito a dare alla musica quella forza che noi tutti riconosciamo nel momento in cui cantiamo insieme a lui, dolci e dondolati alla luce dell’amore, incazzati e coraggiosi per il rispetto dei nostri diritti, leggeri e scanzonati sull’altalena delle sue filastrocche, emozionati e palpitanti per i nostri sogni, con  lacrime sorrisi e grandi speranze per un futuro migliore.
Dunque ancora grazie Mr Robert Nesta Marley

ANTO

giovedì 17 febbraio 2011

RECENSIONI: FABRI FIBRA - CONTROCULTURA

Il vitello senza più i piedi è stato più fortunato di me, l'ascolto forzato di Controcultura ha delle controindicazioni mica da niente.
Per fortuna ora è finito, non so sinceramente cosa pensare di questa roba, l'unico aspetto positivo del disco è che è talmente finto che i soldi che faranno vendendolo e trasmettendolo in radio o ovunque trovino il coraggio di farlo, sono soldi mandati dal cielo.
Insomma Fabri Fibra fa il Fabri Fibra per tutto il disco, mandandole a dire a questo e a quello facendo veramente paura a tutti eh!
Non si salva nessuno da Topo Gigio alle lobbies che dominano il mondo.
Ok...
Adesso penso che si possa passare oltre.
Non so quante altre persone abbiano avuto il coraggio di ascoltare il disco dall'inizio alla fine, io in qualche modo ce l'ho fatta e sono ancora qui, quindi adesso sappiamo che l'essere umano può sopravvivere anche a questo.

DJ Ananas

RENCESIONI: BRUCE SPRINGSTEEN - THE PROMISE

Quello che ho tra le mani non è una semplice raccolta di inediti e rarità ( anche perché alcuni pezzi proprio inediti non sono ) ma una vera e propria storia, un vero “pezzo di vita” del Boss, vissuto con la dannata intensità che da sempre lo contraddistingue.
Nelle  21 tracce di questo doppio, ci sono le vere viscere del boss, c’è la rabbia, la grinta, la passione , la delusione, la lotta di un intero travagliatissimo periodo di vita di un grande artista.
Le sessioni sono quelle a cavallo tra il ’76 e il ’78, un periodo che ha visto il distacco del boss dal suo (ex) amico e manager  Mike Appel, con l’artista sottoposto a pressioni non indifferenti,  dopo il doloroso distacco ( ci fù addirittura una causa tra i due ) e la ricerca di nuove sonorità che colmassero il successo di “Born to Run “.
Dunque “The promise “ è in pratica una raccolta alternativa, chiamiamola cosi, di tutte quelle canzoni che non videro mai luce in “Darkness”,  e il motivo per il quale non vennero inserite per alcune tracce salta all’orecchio, si nota infatti a mio avviso un po’ confusione nell’enfasi della ricerca della giusta direzione di qualche traccia, ma ovviamente parlando del Boss, tutto diventa moooooolto opinabile, sarà sicuramente Terreno di confronto per i fan più sfegatati.
Comunque il maxi disco ci offre anche vere e proprie  perle , tra cui delle canzoni che, ufficialmente non hanno fatto parte delle tracklist dei dischi di Springsteen nonostante abbiano più di trenta anni, ma che sono state suonate sui palchi di tutto il mondo, a cominciare da “Because the Night “ ( che il Boss “regalò” a Patti Smith ) che in questo disco è forse meno “corposa” rispetto alle versioni live del Boss e della stessa Smith.
Si va avanti con “Fire”, “Racing in The Street “ in una versione decisamente più corposa e abbellita con tanto di violino, a ancora la stessa “The Promise” che racchiude in se il significato stesso di tutto il disco, nello spaccato intimo che rappresenta.
Per concludere, sul disco ce ne sarebbero di cose da dire, ma vorrei evitare di concedere eccessive lodi, e di rompermi le palle nella retorica, ergo , basta cosi.
Il Boss resta sempre il Boss, può piacere o non piacere, ma resta indiscutibilmente, oltre ad un importante personaggio della storia del Rock, un esempio di incazzata coerenza.
Qualcuno ha definito il disco l’anello di congiunzione tra “Born to Run” e “Darkness”, non potrei essere più che d’accordo.

ANTO

RECENSIONI: EARTH – ANGEL OF DARKNESS DEMONS OF LIGHT

Soltanto 5 tracce all’interno del disco, ovviamente lunghe, e una sbirciata fugace alla biografia di questa band strumentale.
Queste sono le premesse prima dell’ascolto dell’ultimo lavoro degli Earth
Già immagino passaggi densi e rarefatti di rara bellezza e ascensione psichedelica, e dunque lascio l’ascolto per la notte, svolgendo prima altre recensioni e ascoltando altro come per lasciare un “dulcis in fundo “
Mai cazzata fu più grande.
Signori e signore “Angel of Darkness Demons of Light” degli Earth è davvero un grandissimo disco, …..DI MERDA!!!
Che supplizio ascoltarlo, attaccato alla vana speranza di un cambiamento di tempo di un guizzo che rivoltasse le sorti della mia serata, e invece, mi ha soltanto fatto rivoltare le palle.
Mai ascoltato niente di più noioso, banale, scontato, immobile, sciatto, insulso, insensato, apatico, e mi fermo qui.
Inoltre i musicisti ( pensate c’è anche un violoncellista!!! ) non fanno praticamente un cazzo!
Dall’alto della loro pseudo ecletticità si limitano (?) a suonare per minuti interminabili 4 miserabili accordi, che potrebbero anche starci  (NOOO) ma che non trasmettono nulla, nemmeno queste atmosfere “post bomba” come le ha definite qualche critico musicale, o “ all’ascolto si respira la sabbia e la disperazione”..ma magari direi io, almeno direbbero qualcosa, ma purtroppo ( per me che ho dovuto sorbirmeli ) l’unica cosa che trasmettono è   il nulla assoluto.
In conclusione ( che ho già perso abbastanza tempo )
Il disco è una vera merda, e la qualità di quello che suonano chiunque coglione potrebbe riprodurla, semplicemente perché non c’è nessuna qualità, 2 accordi di merda ripetuti all’infinito.
La mia domanda è: come cazzo hanno fatto a suonare questo strazio per tutto quel tempo?!
Ed io? Con che coraggio ho ascoltato tutto il disco???
…..Che merda!

ANTO


martedì 15 febbraio 2011

RECENSIONI: MOGWAI – HARDCORE WILL NEVER DIE, BUT YOU WILL

Non conoscevo i Mogwai, con un titolo così credevo di trovarmi davanti a un cd post punk-hardcore dai tempi serrati, invece piacevolmente scopro tutto un altro mondo:  atmosfere dilatate, motivi ripetitivi che si arricchiscono gradualmente di piacevoli suoni facilmente riconducibili a un british pop anni ’80-’90 con forti venature psichedeliche. Mi ricordano qualcosa dei primissimi Porcupine Tree, quando ancora erano praticamente una one-man band di Steven Wilson. Questo vuol dire che mi stanno piacendo.
La primissima impressione che ho avuto è che questo è un disco che mi accompagnerebbe bene in un viaggio in treno, come ai vecchi tempi, a farmi da colonna sonora mentre il panorama scorre veloce fuori dai finestrini. Nulla di complicato da ascoltare, la musica che scorre senza alcuno sforzo. Ma lo sforzo c’è, ed è quello dei musicisti di far andare tutto liscio senza proporre inutili protagonismi, di costruire tutto per  l’economia delle canzoni stesse, niente è fuori posto. Tutto è reso minimal e un po' malinconico.
Una bella scoperta, e dire che i Mogwai sono 5 ragazzi scozzesi al settimo album, non certo dei pivelli, che ci raccontano di suonare solo per divertirsi e sfogarsi, non per fare gli artisti, e troppo pigri per scegliere un nome che significhi qualcosa, tanto da usare un nome provvisorio che nessuno ha mai cambiato (i mogwai sono le creature del film Gremlins).
Dimenticavo, raramente troverete delle tracce cantate in questo disco.
Non mi sento di consigliarvi una canzone rispetto ad un’altra, secondo me bisogna ascoltarlo tutto d’un fiato e farsi rapire dalle atmosfere sognanti di questo disco. Cosa dire, sento già che li ascolterò a lungo e che dovrò andare a scoprire al più presto il resto della loro produzione, ammettendo la mia ignoranza (il che è bello, vuol dire che c’è ancora un mondo da scoprire là fuori).

Bella scoperta.

Kappa.






RECENSIONI : PJ Harvey - Let England shake

Let England shake, ottavo lavoro solista della cantautrice inglese, è un disco che ha il chiaro intento di smuovere coscienze con i suoi testi per lo più incentrati su un unico argomento portante: la guerra.
Questo velo nero si estende dalla prima all'ultima traccia senza mai affossare il lavoro in quello che normalmente ci si aspetterebbe da un disco che tratta questi argomenti, infatti le ballate sono piene di una vitalità e di una ricerca interiore mai lasciata al caso.
Il disco comincia con la traccia da cui prende il nome, in cui vi è un'atmosfera sognante anche grazie al fatto che l'album è registrato in una chiesa con un effetto riverbero naturale che aumenta la sensazione di trovarsi in un luogo lontano, come un punto di vista esterno e mai arrabbiato, nonostante i temi trattati.
PJ Harvey, in questo disco molto acustico, continua la sua sperimentazione senza lasciare che la banalità si avvicini all'arrangiamento che comunque sembra restituire un lavoro molto compatto da questo punto di vista, senza alti e bassi.
"Com'è stato arato il nostro glorioso paese?" si chiede PJ Harvey, nella terza traccia del disco: "The glorious land".
"Il nostro paese è stato arato da carri armati e passi di marcia" questa è la risposta che ci suggerisce la sua impeccabile voce.
Il pezzo è molto orecchiabile e in qualche modo ricorda alcuni brani della PJ Harvey del passato asciugati da tutto ciò che è superfluo.
"On Battleship hill" è forse uno dei pezzi più insoliti per la musicista inglese, in cui, accompagnata solo da una chitarra. lascia la sua voce addentrarsi in una piccola interpretazione quasi lirica per poi riprendere una ballata sottolineata dalle note di un delicato pianoforte che si conclude ripetendo: "la crudele natura ha vinto ancora".
In conclusione però l'album scivola via senza lasciarci canzoni memorabili, purtroppo, l'impressione in definitiva è che il lavoro possa risultare un po' piatto da questo punto di vista anche se rimane senza dubbio un buon lavoro che non deluderà i fan dell'artista.

DJ Ananas

RECENSIONI: GORILLAZ - THE FALL

Comincio dicendo che il disco parte effettivamente dalla traccia 2  visto che “Phoner to Arizona” è a tutti gli effetti solo un insieme di effetti!!
Boh! Forse doveva rappresentare un intro o…qualche altra cosa di sensato, …ma ..non è cosi, e risulta alquanto noiofastidiosa.
Dunque dalla seconda Revolving doors comincio a farmi ammaliare da un sound dondolante e ben strutturato, ( marchio di Albarn ) che per degli attimi mi ricorda perfino i Depeche  Mode, e che mi introduce a quello che dovrebbe essere un disco-intercapedine,  nato cioè on the road tra una data e l’altra dell’ultimo tour , e successivamente “sistemato” ed abbellito con featuring d’eccezione ( Mick Jones ex Clash  tra gli altri ) ed una bella pulita.
Il disco fai-da-te ( le tracce iniziale sono state registrate su un i-pod ) di Mr Albarn viaggia su onde elettriche e voci narcotiche, regalando momenti piacevoli e spunti geniali tipiche del signor Gorillaz,
Davvero degni di nota i morbidi volteggi psichedelici, e le arrampicate elettroniche mai scontate.
Si potrebbe ancora dire molto, disquisendo su influenze, stili , follie (l’Outro  “Seattle Yodel” che chiude il disco) e “remembrance”, potremmo dire tutto e il contrario di tutto, ma non potremmo mai dire che si tratta di un disco banale.

Tracce consigliate : Revolving doors , Hillbilly Man , Shytown, Bobby in Phoenix( cantata da Bobby Womack)

ANTO


RECENSIONI : DRIVE BY TRUCKERS . GO GO BOOTS

Che dire di questo disco??......  già che dire!?
Ok qualcuno ha chiesto il mio parere ergo…eccomi, apriamo una Moretti e brindiamo alla sincerità!!!
Ed in sincerità vi dico che dei primi 10 dischi dei DRIVE-BY TRUCKERS non ho ascoltato una nota, ma nemmeno per scrupolo dinnanzi all’imminente recensione di quest’undicesimo, pertanto li tratterò come una band senza passato, anche se ( mi sono comunque doverosamente documentato ) un passato lo hanno e come, e tra i componenti si annoverano anche figli d’arte.
Certo la prima traccia del disco ( I Do Believe ) non presenta questo lavoro con entusiasmo, e anche se, musicalmente possono anche essere interessante ( giudizio sempre opinabile ) dire che è proprio la voce che mi infastidisce alquanto.
Va già un po’ meglio con la seconda “Go Go Boots”, il cui down-tempo rock nostalgico con spruzzatine country-blues non mi dispiace proprio. Dalla terza traccia si palesa il dna coutry della band dell’Alabama, il disco cosi scivola tra variazioni folk – country quasi senza peso, e alla quarta “Cartoon Gold” manca solo un yyyyaaaaahhh di tanto in tanto.
Comunque cazzate a parte, il disco è piacevole, e la qualità dei musicisti è indubbiamente buona, resta ovviamente in fondo solo una questione di gusti, anche se personalmente credo che la musica non debba essere giudicata in base alle etichette dei generi, che trovo alquanto restrittive e forvianti.
Esistono solo 2 categorie di musica in fondo, quella buona e quella cattiva.

Tracce consigliate : Go go boots, Assholes, Used to be a cop, Pulaski .

ANTO

sabato 12 febbraio 2011

RECENSIONI : ADELE - 21

Fin dal primo ascolto della prima canzone del primo album Miss Adele aveva fatto breccia nel mio cuore musical-burbero, adesso torna con nuovo album dai tratti decisamente più pop ( merito forse dal produttore Rick Rubin ( già produttore di Red Hot Chili Peppers e Metallica tra gli altri )) ma che comunque non addolcisce troppo ( e meno male ) la sua splendida voce soul.
Il paragone fatto da qualcuno con Amy Winehouse potrebbe anche essere valido, con la piccola eccezione nella “pulizia” vocale di Adele, che la rende più Smooth,  una carezza e un dolce graffio allo stesso tempo.
Splendida la raffinata versione di “Love Song” dei Cure
Adele impressiona e emoziona, come è giusto che faccia una diva del soul.
Tracce consigliate : Tutte
P.S.  Il video di “Rolling In The Deep “ è una opera d’arte.

ANTO

RECENSIONI: 3 ALLEGRI RAGAZZI MORTI – PRIMITIVI DEL DUB

Dopo l’esperimento – tributo al reggae con “Primitivi del futuro”, i 3 simpatici  cadaverici ragazzi si ripresentano con altro disco tributo alle sonorità “manipolate del reggae” .. la Dub.
La Dub per me è una cosa seria, è un teletrasporto mentale dentro lunghe notti, di nebbie e luci basse, di metropoli notturne e battiti lenti e densi. Cazzo se la Dub è una cosa seria.
Riguardo al disco dei nostri cari ragazzi contenti e  defunti, posso dire che per prima cosa va assolutamente premiato l’impegno, e la professionalità dell’approccio.
Detto questo, posso tranquillamente asserire che qualora lo volessero i nostri felici trapassati giovanotti potrebbero continuare a predicare la Dub da “quasi professionisti”, a professionisti del genere in men che non si dica. La maggior parte dei pezzi sono davvero 100% Dub Style, avvalorate da tanto di super featuring del genere ( Mama Marjas, Rankin’Alpha, Andrew I ) e anche quando qualche richiamino delle loro radici rock ( quello in fondo sono ) si fa sentire, ( “La dubbata delle ossa” ) il risultato è sempre comunque originale e piacevole.
Primitivi Del Dub è un disco Dub, in piena regola, ed è un buon disco Dub, senza scherzi, perché la Dub
È una cosa seria.

Se vi interessa il genere vi consiglio :
 Bill Laswell – (Dub Chamber 4  su tutti ),   Glenn Brown & King Tubby ,   Kaly Live Dub – 3   Maximal Overdubs ( su tutti ), Easy Star All Star – The dub side of the moon ( tribute in chiave dub a The Dark Side Of the Moon) , Bunny Lee & The Aggrovators , Black Uhuru, Creation Rebel, Dub Syndicate………………

ANTO.


RECENSIONI: SOULFLY - OMEN

Sebbene sia uscito ormai da qualche mese, questo è un disco che non si poteva tralasciare, Max Cavalera e i suoi  tornano in pista e spingono maledettamente sull’acceleratore. Forse questo è l’episodio più veloce della storia dei Soulfly, dove si mettono da parte le contaminazioni di world music e nu metal degli ultimi anni e si va dritti al sodo: trash/death metal come non ne sentivamo dai primi Sepultura. Se nei lavori precedenti Max sembrava legato a “Chaos A.D.” (stupendo), adesso si scrolla le spalle, forse guarda un po più indietro, ottenendo risultati di tutto rispetto.

Appena premo play sul mio lettore cd, le casse mi vomitano addosso lo stupendo punk/thrash di “Bloodbath and Beyond”, qualcuno voleva forse approcciarsi piano piano all’album? No qui si dichiara la guerra ai vostri padiglioni auricolari dal primo istante, due minuti e mezzo di violenza, ritornelli ripetitivi e cambi di tempo.
Segue come un treno pronto a macinarvi “Rise of the fallen”, addirittura qui abbiamo come ospite Greg Puciato  dei The Dillinger Escape Plan, canzone che (anche lei) si trasforma con cambi di tempo e assume in alcune parti la conformazione del death metal nordeuropeo. Personalmente adoro i cambi di tempo, mantengono l’attenzione alta.  Con  “Greath Depression” si torna sull’accelleratore, rallentando solo per urlare il groovoso refrain, un pezzo che vi farà tornare in mente alcuni  lavori degli Slayer. La traccia successiva ci regala un’altra ospitata, in “Lethal Injection” troviamo  Tommy Victor dei Prong. Forse il pezzo che all’inizio mi piace di meno fino ad ora, se non fosse per quelle adorabili sovrapposizioni di tempo e improvvise accelerazioni.
Ma siamo arrivati alla mia track preferita: ”Kingdom”. Un riff epico ci accoglie, per poi esplodere dopo 4 battute nella più classica delle entrate di Max insieme alla batteria.  Anche qui,  manco a dirlo, non mancano i cambi di tempo, i ritorni al riff principale e i ritornelli ossessivi.
I pezzi che seguono sono un po più monotoni, velocissimi e urlatissimi, ma non sono al livello dei precedenti, solo un bel revival dei primi anni 90 (nel campo del metal, si intende), almeno fino all’arrivo di “Mega-Doom”: con un titolo così se non fate una buona prova ci perdete la faccia, e i Soulfly non sbagliano, ci regalano 3 minuti abbondanti di trash/death/core.
Arrivato alla penultima canzone però, sono un po stanco a dir la verità, l’intro non è male, ma poi si torna a cavalcare anche qui velocissimo, e bisogna avere la pazienza di arrivare al cambio di tempo perché il pezzo si faccia interessante.
Il disco con “Soulfly VII”,  parte strumentale che riprende quelle dei precedenti album, niente comunque di eccezionale.

Tirando le somme se all’inizio  dell’ascolto siamo entusiasti del ritorno alle origini di Max Cavalera , dopo i primi 5-6 brani in cui si corre a tutta birra si sente la mancanza di qualcosa che spezzi un po il ritmo, di un po di sperimentazioni. Ho avuto l’occasione di ascolte il disco diverse volte, sia in viaggio che a casa, e non è facile arrivare fino alla fine: dopo l’iniziale carica, alla lunga, stanca. Ma nel panorama metal di oggi è sicuramente un disco vero e sano, senza costruzioni ne costrizioni, e inoltre è quasi una rarità trovare un disco in cui ci siano più di due canzoni decenti, e qui ne abbiamo in abbondanza. Quindi a questo disco do un bel  7 e 1/2.

Kappa. 



venerdì 11 febbraio 2011

RECENSIONI: LORENZO JOVANOTTI CHERUBINI - ORA

Lorenzo sinceramente mi è sempre stato simpatico, ho sempre seguito con interesse ed entusiasmo le sue metamorfosi musicali, lo considero davvero un artista formidabile, e alcune delle sue canzoni le ho sbattute di diritto nel mio archivio delle più belle poesie in musica. Tralasciando poi che qualcuno dice addirittura che gli somiglio ( fisicamente) un po’, la mia opinione appare già abbastanza chiara. Ovviamente questo non è bastato per influenzare il mio approccio al disco, che sinceramente , vi dirò, parte sempre un pochino polarizzato sul Negativo, in modo che, non aspettandomi tanto, in qualche modo non possa essere tanto deluso . Viceversa la meraviglia alla Positiva eventuale sorpresa è ancora più enfatizzata. Dunque ?.....
Come direbbe uno dei miei filosofi urbani preferiti….”la seconda che hai detto”.

Sono bastati i primi 5 secondi di “Megamix” la prima traccia del disco, per illuminarmi e farmi capire che “l’elettronica calda “ come Lorenzo stesso l’ha definita, esiste, e lui l’ha trovata davvero !!!
“Tutto l’amore che ho “ già singolo tormentone alla radio, ci regala il biglietto da visita del disco, ma è andando avanti che ci si rende conto che l’intento di Lorenzo è stato rispettato in pieno, ( “ MI piacerebbe fare un disco di Musica per le feste…qualcosa che stimoli la produzione di dopamina “ )  Lorenzo : missione compiuta.
Su questa giostra a ritmo dance comunque troviamo anche il Lorenzo intimo ( “Le tasche piene di sassi” ) in versione acustica, ma lo spettacolo puro è rimbalzare tra la vera dance, quella che ti fa muovere anche senza il tuo volere, ( “La medicina”, “La porta è aperta”, “Rosso D’emozione” ) e ti schiaffeggia con la poesia supermetricaurbana di un grande pensatore.
“Spingo il tempo al massimo” è l’incontro  tra i Crystal Method ed Edoardo Sanguineti, Fantastica.
Bellissime le collaborazioni, nel  funky-elettro-rap di “Battiti di ali di farfalla “ vede il featuring del grande Micheal Franti, l’elettronica calda ( e dolce aggiungerei io ) mischiata al vento d’africa in “La bella vita” con Amadou & Mariam, un inaspettato Luca Carboni nella sussurrata riflessione di “L’aspetto Umano”.
“Il più grande spettacolo dopo il Big Bang” è Lorenzo Jovanotti all’ennesima potenza, e “Quando sarò vecchio” è la canzone che tutti avremmo voluto scrivere, qualcuno ci ha trovato dentro un che di “Celentaniano”…io ci ho trovato perfino il grande De Andrè.
“….eppure non mi sono mai sentito cosi libero” canta in “Sulla frontiera”  e tutto il disco lo ribadisce ad alta voce.
Una considerazione sulla copertina e i lavori grafici, a cura di Cattelan, artista che, oggettivamente geniale, a me, col rispetto parlando mi ha sempre lasciato indifferente, o al massimo mi ha fatto un pochino  cagare.
Per questo si è tenuto un po’ basso, è il risultato può anche essere considerato gradevole/interessante/bello.
concludendo:
Lunga Vita a Lorenzo.

Anto.


Premessa

La premessa che stiamo per fare vale per tutti i dischi e i concerti che ho il piacere ( e non piacere ) di recensire.
Lo scopo primo & ultimo di questo blog è semplicemente quello di descrivere e commentare le cose per come ci appaiono. Senza sviolinate di sorta e favoritismi vari.
È assolutamente vero che tra i nostri amici ci sono molti musicisti famosi, artisti che fanno dischi e concerti, come è vero che proprio l’amicizia e il rispetto che abbiamo con questi personaggi, l’abbiamo ottenuta con la semplice qualità della coerenza, e della sincerità.
Anto, Kappa & Dj Ananas

giovedì 10 febbraio 2011

RECENSIONI: PEARL JAM - LIVE ON TEN LEGS



Chi mi conosce lo sa, sono un fan di vecchia data dei Pearl Jam, ma nonostante tutto, questo lavoro non mi emoziona, anzi all’uscita mi sono chiesto se ce ne fosse proprio bisogno.
I nostri beniamini hanno deciso di pubblicare un greatest hits live per celebrare il 20 anni della band (e questo mi fa pensare che no sono più un giovanotto), riprendendo il nome dal celebre “Live on two legs” del 1998, pescando dalle varie registrazioni live prodotte dal 2003 al 2010. I brani sono stati tuttti remixati e remasterizzati dal loro tecnico di fiducia: Brett Eliason.
Ma perché mi chiedo se ci fosse bisogno di questo live? Perché da un decennio i Pearl Jam sono stati i pionieri del bootleg ufficiale, dapprima su cd e poi in formato digitale; non vi è certo carenza di materiale live, quindi se siete stati ad un concerto dei PJ potrete facilmente trovare il bootleg relativo e goderne appieno, ricordando i momenti magici che avete vissuto e sapendo che la voce del pubblico era la vostra voce,  come se foste un’unica persona. Questa è un’altra pecca di questo cd: non ci sono pezzi dove Eddie infiamma il pubblico duettandovi, che è una delle cose migliori tipiche che vivreste in un concerto dei Pearl Jam.
A me sembra che questo disco possa dare ben poco a chi l’ascolta, è una cosa trita e ritrita, certo sono i Pearl Jam, ma cosa ci dice di nuovo questo album? Cosa ci dice che non ci abbiano proprosto ripetitivamente negli ultimi anni? Nulla! Sarebbe stato forse megliofare una raccolta live delle cover , e non sono poche, che hanno suonato sui palchi di tutto il mondo, una cosa che i fan apprezzerebbero e che non è facile da trovare in una discreta qualità.
Intanto faccio loro gli auguri, gli unici di quell’era a essere rimasti “Alive”.

Kappa.





RECENSIONI: VERDENA - WOW

Wow?!  Wow de che??
Addirittura un doppio disco quello che I Verdena ci offrono, ben 27 tracce.    Che agonia!
 E pensare che lo aspettavo con curiosità questo ultimo lavoro, sperando in un ascolto emozionato e carico di energia. E invece tutti i brani del disco, pardon, dei dischi, sembrano figli di un medesimo riff, di una solitaria e ritrita idea, di un lento e agonizzante tema.
“sarà che la mia mente galoppa..” come cantano loro stessi in “Loniterp”, ma non riesco proprio a infliggermi un nuovo “giro” d’ascolto. Basta la prima, e stavolta non è buona.
Volendo salvare qualcosa scelgo “Adoratorio” del disco 1, che tra l’altro è un pezzo strumentale.
Nel secondo disco c’è un piccola e fugace perla di 1 minuto e 54 “tu e me” che sboccia tra tanto denso non senso. Tra le tracce salve ci metto anche “ Nuova Luce”, “Canzone Ostinata” e “Sul Ciglio” che dura appena 54 secondi, il resto per me non è da considerare.
Aldilà di questo periodo pseudo-introspettivo, caratterizzato da questi down-tempo trascinati e sbiascicati, e di questo insistere con pianoforti pianole tastiere e quant’altro, cosa che  potrebbe anche starci, il punto è che davvero viene da dire; che palle cazzo!
Sfido chiunque a trovare un senso/motivo qualsiasi per sostenere che aldilà dei pezzi salvi sopracitati, di questo disco tra qualche tempo ricorderemo altro.
Per finire aggiungo
Cazzo se mi piacevano i Verdena

ANTO.


RECENSIONI: ANANSI - OMONIMO

Chi è Anansi ?
Per tutti quelli che ancora non lo hanno visto e sentito sui palchi in giro per l’Italia  ( e non solo ! ) con il carrozzone multietnico di Roy Paci e i suoi Aretuska, potranno vederlo e sentirlo cantare tra qualche giorno al festival di San Remo, tra le nuove proposte.
Dio mio,  non mi sarei mai sognato di dire, e per giunta consigliare di guardare il festival, …infatti non fatelo!!!! Magari fate un po di zapping finchè non appare Anansi e poi giudicate voi.
Purtroppo il Festival di San Remo rappresenta un metro di riferimento musicale incredibile, che di conseguenza influenza in maniera notevole il mercato della musica italiano.
Un vero peccato, visto che come sappiamo, a parte qualche rara eccezione di artisti validi che sporadicamente si presentano alla manifestazione, il resto è tutto un “cuore-amore” e altre litanie intonate da cantanti scoppiati e residuati bellici, con contorno di modelle e ospiti super pagati che con la musica non centrano un beneamato cazzo.
Ma visto che la speranza è l’ultima a morire, teniamo duro e confidiamo nella benedetta gioventù.
Parliamo del disco di Anansi, che risale al 2009.
La prima cosa che salta all’orecchio è la scioltezza delle tracce, non saprei come definirla altrimenti.
In parole povere non sembra affatto un debutto, ma piuttosto il quarto o quinto disco di una band assodata e navigata. Ovviamente non è cosi, e lo si nota in seguito ascoltandolo bene, nelle pieghe a volte un po incerte della voce, e nell’ingenuità di qualche testo. Ma tutto questo è sinonimo di freschezza, di novità, di talento che matura e che si mette in discussione sperimentando e imparando, dunque ben venga.
Un’altra lancia spezzata in favore di Anansi , la somiglianza stilistica, ma mai forzata, della sua voce in alcuni passaggi, che ricorda moltissimo Damian “Junior Gong” Marley, ed ancora più in maniera impressionante l’altro figlio del grande Bob, Stephen Marley ( che vi consiglio vivamente di ascoltare ).
In conclusione Anansi Spacca!
Tracce consigliate: Tutte 

ANTO


mercoledì 9 febbraio 2011

THE WALL LIVE ULTIMA CHIAMATA

Carissimi bastardi, il momento sacro per tutti i fan dei Pink Floyd in Italia come sapete si avvicina.
Torna infatti live una delle opere musicali più belle ispirate e geniali di tutta la storia della musica:
The Wall.
E anche se non saranno i free four a calpestare lo stage del Mediolanum forum il prossimo Aprile, (per ovvi motivi che oramai conosciamo benissimo a partire dalla storica rottura tra i componenti, e la conseguente  dipartita del caro Richard Wright ) rimane comunque il baluardo che The Wall lo ha concepito:  Mr Roger Waters.
Il tour è già in giro per il mondo da un bel pò, partito negli ultimi mesi del 2010 dall’America, sbarcherà in Italia per  4 date nel mese di Aprile, rispettivamente 1, 2 , 3, e 5 ( date ovviamente esaurite già da mesi) e per altre due repliche il 6 e 7 Luglio sempre al Forum di Assago.
Si tratta, indipendentemente dal credo musicale, di un’opera imperdibile, e se consideriamo che Roger Waters non è più un giovanotto, potremmo anche dedurre che si tratti dell’ultimo giro buono  di giostra, per poter dire, ricordando un giorno le vostre fottute esperienze di vita:  io c’ero.
Ho assistito al concerto tenutosi al Bankatlantic Center di Fourt Lauderdale in Florida il 14 Novembre 2010. Personalmente le mie considerazioni dopo le prime canzoni non erano proprio il massimo.
Da tenere  conto il distacco che ho cercato di mantenere non appena entrato , cercando di mettere da parte la venerazione che ho per Waters e per The Wall in particolare, ho mantenuto a freno l’entusiasmo per cercare di capire se davvero Mr Waters voleva tornare a emozionarci dopo 20 anni, con la sua opera più formidabile, o se invece era rimasto a corto di idee e pensava di dare un altro buon colpo per il suo fondo pensione.
Come dicevo, inizialmente quest’ultima idea era quella che si stava  facendo strada, mi sembrava  tutto un po’  troppo rimodernato, adattato per un revival di plastica modello “i bei tempi che furono”  in chiave hi-tech.
Ovviamente non vi dirò cosa mi è piaciuto e cosa no, almeno non ancora. Per rispetto a coloro i quali The Wall lo vedranno per la prima volta.
Fatto sta che il mio proposito di non farmi coinvolgere troppo è naufragato anche abbastanza velocemente. In realtà lo speravo con tutto il cuore. E dunque giù a urlare “We don’t need no education”, con le braccia incrociate in aria, nel segno del martello. In una emozione sempre più grande, che mi ha fatto piangere con il migliore dei miei sorrisi, consolidando sempre più in me l’idea che non esistono più artisti cosi.

Anto.


martedì 8 febbraio 2011

Quanti deliri hai al tuo attivo???

Il nostro intento (ci hanno detto che è un buon incipit) è scrivere di musica per come la sentiamo noi, senza filtri , senza sviolinate, ve la sbattiamo in faccia così per com'è.
Impegnati, impastati e impelagati nell'ambiente musicale da decenni, sognamo gli anni 70, riamstichiamo il buio degli anni 80 (senza ancora digerirli) e dagli anni 90 vaghiamo orfani di ideali musicali superiori, continuando a sperare in una nuova rivoluzione musicale che sovverta il clima sempre più confusionario e in stallo, se non in declino, che è rappresentato dalla caleidoscopica scena musicale attuale.
Certo non tutto è da buttare, anche se noi abbiamo dei gusti un po difficili e ve ne renderete conto. Non si salverà nessuno, o quasi.
Benvenuti, noi siamo la Sickgroove.Inc